Pensieri sparsi e ordinati, riflessioni serie e semiserie, speculazioni pratiche e metafisiche sul variegato universo del gioco e sullo scombinato mondo dei giocatori.
mercoledì 16 giugno 2010
Trasloco!
mercoledì 9 giugno 2010
Blog sospeso
venerdì 21 maggio 2010
Progetto Zeta: Blood Bowl
lunedì 17 maggio 2010
La valigetta magica
giovedì 13 maggio 2010
La cantina di un giocatore...
In parole più semplici, la mia cantina è piena come un uovo. Non ci sta più nemmeno un dado. Anche se, spostando quella valigia e la stufetta di emergenza per l'inverno, forse...
L'altra sera, per soddisfare la voglia di riprendere in mano il caro vecchio Blood Bowl (l'ultima partita risale ai mondiali degli Stati Uniti... 1994, era la sera di Italia-Nigeria!), mi sono calato in una delle mie periodiche spedizioni speleologiche in cantina alla ricerca della vecchia, storica scatola della seconda edizione. E, una volta aperta, mi sono ritrovato davanti al primissimo manuale di Dungeons and Dragons di proprietà di mio padre e che non sapevamo più dove fosse finito! E per primissimo, intendo proprio dire PRIMO, quello base, in inglese, prima edizione... dovevate vedere quanto gli brillavano gli occhi quando gliel'ho portato!
Oggi Blood Bowl è un living rulebook in continuo aggiornamento e il gioco è molto evoluto dai mega-rissoni a centrocampo delle prime versioni, con tanto di campionati e tornei organizzati in tutto il mondo (e chissà che a qualche campionato, magari dopo l'estate non mi ci iscriva anch'io!). A me rimane la forte emozione per un bellissimo gioco di football fantasy che ho scoperto ormai più di quindici anni fa e che spero di poter rigiocare spesso in futuro.
Anzi, cominciamo già stasera! Si gioca in notturna a casa di Gnotta! I miei elfi oscuri si faranno valere!
giovedì 6 maggio 2010
¡Viva la Republica! (Progetto Gamma: Guerra Civile Spagnola)
giovedì 22 aprile 2010
Io e Warhammer
Ora, Warhammer ha mille pecche, in certi punti è rimasto ancorato ad uno stile di regolamento ormai superato, viene spesso concepito solo per vendere altre miniature privilegiando un esercito a scapito di un altro... ma è Warhammer. Bello, movimentato, in certi momenti fin quasi eccessivamente “epico”.
Per me Warhammer ha il sapore del liceo. Ha il ricordo di una di quelle vagabondate del sabato pomeriggio nelle quali io e i miei amici – ancora con lo zaino di scuola in spalla e impazienti di goderci un finesettimana di libertà – eravamo soliti girare per i principali negozi di musica (loro), per i pochissimi negozi di giochi (io) e per i più forniti negozi di fumetti (tutti quanti). Perchè fu in una di quelle passeggiate al quartiere Prati di Roma che io, alla ricerca di qualcosa di tutto mio diverso dai wargame storici con i quali popolavo le serate di gioco con mio padre, vidi una gigantesca scatola colorata con sopra un reggimento di splendenti picchieri elfici e un'orda di feroci goblin. Ricordo l'eccitazione che mi spinse ad aprirla lì, mentre ero ancora davanti al negozio, attirandomi le occhiate di invidia e di stupore di alcuni ragazzi che come me non si capacitavano dell'enorme mole di miniature, elementi scenici, template di plastica, segnalini e manuali racchiusi in quello scrigno.
Si trattava, poi ho ricostruito, della quartaedizione, più razionale e lineare delle prime caotiche versioni del regolamento ma ben lontana dalle raffinatezze delle edizioni attuali.
Purtroppo tutto quel ben di Dio è andato sprecato. Non ho mai giocato una sola partita di Warhammer. Non che non abbia comprato o dipinto cose (Vi ricordate? Il mio esercito imperiale è il Progetto n. 5 per quest'anno e la mia libreria è piena di supplementi e manuali per almeno altre due edizioni del gioco). E' solo che per mancanza di avversari e anche di un po' di voglia non sono mai andato al di là della visione esterna di qualche partita dimostrativa alle convention o di qualche scontro nell'ambito di un torneo. E così i miei tenaci reggimenti imperiali, le mie potenti macchine da guerra e anche le mie valorose schiere di cavalieri bretonniani sono sempre rimasti a prendere polvere in cantina o ad invecchiare negli armadi.
E devo dire che il tono generale dei prodotti della Games Workshop non mi ha aiutato in questo. Leggere un numero di White Dwarf - la rivista della ditta - significa sottoporsi ad una serie di iperboli apparentemente mirate a solleticare l'immaginazione di un ragazzino di dodici anni particolarmente scemo. Tutti i guerrieri sono “formidabili”, tutte le armi tirano colpi “spietatamente efficaci”, tutti gli incantesimi sono “terribilmente devastanti”, tutte le cariche di cavalleria “non lasceranno scampo alle attonite schiere del nemico”. Eccetera eccetera. Viene da chiedersi che la vera rarità in Warhammer sia un soldato semplice come molti altri che stringe disperatamente la sua picca tra le mani pregando di non finire sbudellato dal primo orchetto che passa.
Insomma, è un'atmosfera piuttosto fastidiosa per un ultratrentenne che chiede solo una diversione ad un gioco fantasy e non una sequela senza fine di dissenterie verbali. E' di guerra che parliamo, non di fuochi d'artificio e l'epicità non la si ottiene urlando ma mantenendo alto il tono della narrazione.
In effetti, anche quando ho scoperto una realtà associativa in cui gli avversari (e anche gli amici) non mi sono più mancati, Warhammer mi ha sempre un po' respinto. La sua massa di regole speciali, di oggetti magici, di truppe con caratteristiche particolari ed eccezioni al regolamento, le sottigliezze della composizione di un esercito (che, se sbagliata, talvolta condanna alla sconfitta prima ancora dell'inizio della partita) e altro ancora me ne hanno tenuto lontano, nonostante l'ambientazione mi piaccia davvero (a chi non piacerebbe un fantasy sostanzialmente ambientato nel Cinquecento, con tanto di armi da fuoco e per l'Impero anche macchine da guerra leonardesche?) e l'idea di combattere una bella battaglia con mostri e incantesimi mi stuzzichi molto.
Il problema non è dovuto a un mio scarso amore per i wargame fantasy. Al contrario, ne ho provati diversi in questi anni e mi sono fatto molto coinvolgere da Guerra dell'Anello della stessa Games Workshop (e vorrei tanto provare a fare qualche scontro per il caro vecchio gioco di schermaglia del Signore degli Anelli).
Insomma, Warhammer rappresenta per me una vecchia sfida mai vinta, un vuoto ancora da colmare e al quale periodicamente mi dedico senza riuscire però a “partire” davvero. Ma nonostante ciò, è un leit motif della mia esperienza ludica che continuo a seguire, pur da lontano.
Quella che è stata appena annunciata è l'ottava edizione. Magari questa volta ci farò un giro.
lunedì 12 aprile 2010
Il potere evocativo del gioco
martedì 6 aprile 2010
Il senso ludico interno: il tempo
martedì 30 marzo 2010
Dizionario ludico: Il gioco di trattativa
lunedì 15 marzo 2010
Di ritorno
venerdì 12 marzo 2010
Breve pausa
giovedì 11 marzo 2010
I miei progetti
Stato: Buona parte dei pezzi montati (mancano solo un paio di carri e un po' di cavalleria pesante), ma tutti da reimbasettare sulle basette magnetiche GF9. Nulla è stato ancora dipinto.
Obiettivo: Avere un esercito da 1.500 punti imbasettato e dipinto prima della fine dell'anno.
Commenti iniziali: E' il mio progetto principale. Punto. E per di più sono pure indietro! Devo evitare di accumulare altro lavoro che mi distolga da questo, e non sarà un compito facile anche perchè le miniature da fare - pur se in maniera rapida - sono davvero tante.
Stato: Ancora nulla di montato.
Obiettivo: Avere un esercito da 1.500 punti montato prima della fine dell'anno.
Commenti iniziali: Questo esercito vedrà la luce tra un bel po', sia perchè ancora non ho deciso quale deve essere sia perchè lo devo cominciare da zero. Se scegliessi Rohan avrei già buona parte dei pezzi, mentre per gli Elfi dovrei comprare qualcosa delle nuove scatole che sono davvero notevoli.
Stato: Due squadre completate. Le prossime sessioni saranno: armi d'appoggio, guardie d'assalto e personaggi speciali, veicoli (blindato "Dona Maria" e carro armato "Don Pepe".
Obiettivo: Riuscire ad avere pronte due-tre squadre con relative armi d'appoggio ed almeno un veicolo entro l'inizio dell'estate.
Commenti iniziali: E' il progetto al quale mi sto dedicando in questi giorni, come avrete visto sui blog di Zerloon e di Gnotta. Fortunatamente il numero di miniature da dipingere è molto ridotto e le ho quasi tutte (mi mancano solo delle armi d'appoggio e un veicolo corazzato). Spero che la semplicità dei colori da dare mi permetta di completarlo con rapidità per tornare a dedicarmi agli altri progetti... lo saprò a breve, visto che sto finendo di preparare il primo blocco di soldati!
Stato: Equipaggio completato. Nave da completare (mancano le alberature, gli armamenti e il timone), anche se ha già ricevuto una prima passata di colori di base.
Obiettivo: Riuscire a completare la nave prima della fine dell'estate.
Commenti iniziali: Della mia adorata Rosenfalke forse avrete già sentito parlare su queste pagine e di sicuro avete fatto conoscenza con il suo equipaggio. Non mi ci dovrebbe voler molto per terminarlo: prevedo un paio di sessioni di lavoro per terminare la pitturazione della nave e un altro paio per finire di armarla. E' un progetto che porterò avanti nelle serate libere.
Stato: Alcune unità già montate (compreso il mitico Carro a Vapore!), ma comunque da reimbasettare sulle basette magnetiche GF9.
Obiettivo: Avere un esercito da 1.500 punti montato prima della fine dell'anno.
Commenti iniziali: Per fortuna avevo già un bel po' di pezzi da parte e ho comprato relativamente poco, perchè questo progetto al quale comunque tengo sta finendo inevitabilmente in secondo piano. Spero quantomeno di finire la fase di assemblaggio, perchè il look della soldataglia imperiale mi piace da morire!
Progetto Omega: Matrimonio
Priorità: Suprema (ho la mia Lei che mi guata da dietro le spalle...)
Stato: PANICO!!! DOBBIAMO FARE TUTTO!!!
Obiettivo: Arrivare vivi a metà settembre e poi godersi il viaggio di nozze in Scozia (compreso il negozio Games Workshop di Edimburgo... *grin*)
Commenti iniziali (e finali): Aiuto...
Solo il futuro potrà dirlo...
venerdì 5 marzo 2010
Il wargame storico non esiste
mercoledì 3 marzo 2010
Doppia comunicazione di servizio
venerdì 26 febbraio 2010
I giochi sottolio
Qualche anno fa, trovandomi al Palazzo delle Esposizioni di Roma per vedere una bellissima mostra sul futurismo, mi sono imbattuto in una mini-mostra di alcuni artisti contemporanei. Ora, ammetto di non essere un grande estimatore dell'arte più recente, ma un'opera in particolare mi ha colpito: i “libri sottolio”, una serie di volumi dei generi più disparati ben chiusi in barattoli ermetici e mai letti. Nella nostra vita, insomma, ci troviamo spesso ad acquistare libri che – vuoi per pigrizia, vuoi per mancanza di tempo, vuoi anche perchè sono stati comprati solo per fare un po' “bella figura” – finiamo con il non leggere mai.
Certo, quei poveri libri in barattolo erano una denuncia contro l'atteggiamento un po' ipocrita di chi vuole darsi arie da intellettuale solo dando sfoggio della propria supposta cultura, ma anche i giocatori cadono vittima di questa trappola, pur se in perfetta buona fede. Al di là di coloro (e ce ne sono...) che si limitano a collezionare scatole su scatole di giochi senza avere fin dall'inizio la minima intenzioni di aprirle, chi di noi non si è infatti trovato con dei “cadaveri ludici” nel proprio armadio?
Ogni gioco può finire sottolio. Non importa con quanto entusiasmo abbiate atteso la sua uscita, non importa se si tratta del gioco più semplice e rapido o del classico mastodonte che richiede almeno un'ora di preparazione per iniziare una partita, non importa se richiede delle condizioni particolari per essere giocato (un certo numero di giocatori, una certa disposizione mentale, una certa congiunzione astrale...) o se addirittura funziona anche in solitario. Nessun titolo è al sicuro e anche i giochi che adesso aprite quasi ogni settimana un domani potrebbero perdere il vostro interesse ed essere “superati” dall'ultima novità.
E allora eccole quelle scatole, alcune consunte altre nuovissime, ferme a prendere polvere sui vostri scaffali e relegate al rango di colorati (e costosi) soprammobili.
Chi vi scrive ne ha diversi in salotto, soprattutto titoli di generi “difficili”, come i wargames dedicati ai periodi storici meno conosciuti o le vecchie glorie che ritengo essere dei titoli stupendi ma che sono note a una decina di persone o poco più (nessuna delle quali vive in questo continente...). Ogni tanto mi capita di guardarli e vengo colto da un vago senso di rimpianto... non tanto per i soldi spesi nel loro acquisto (tanto ormai...) ma per la mancata soddisfazione ludica che non potranno mai darmi.
E allora mi scopro a riaprirli, a toglierli dai loro “barattoli”, a leggerne nuovamente il regolamento e magari anche a prepararli per una partita che non verrà mai giocata.
Ecco così che il gioco trascende dalla sua funzione, riuscendo a darci un divertimento pur non essendo realmente giocato. E' il gioco dei giochi, un'attività ludica mentale che prescinde da una concreta attività ludica fisica e che ci porta a fantasticare su quella che potrebbe essere una partita perfetta ad un gioco perfetto con avversari perfetti.
Può sembrarvi paradossale, ma a volte i giochi migliori sono proprio quelli che non vengono mai giocati.
mercoledì 17 febbraio 2010
Apologia pro Beatrice Boero
Ok, il titolo è un po' provocatorio, ma che volete farci... il mio ascendente scorpione e il mio snobismo di fondo mi spingono inevitabilmente a rompere le scatole e a fare il bastian contrario. Soprattutto, visto il rumore che la questione sta suscitando nel mondo ludico italiano, mi impongono di dire la mia.
La questione inizia qui, da questo articolo del Tempo (che vi prego di leggere, se già non lo avete fatto).
I giochi di ruolo dal vivo assimilati alle risse tra tifosi da stadio. L'attività ludica vista come una sottospecie di satanismo. La figura del master paragonata ad una sorta di arbitro/carabiniere che deve placare i “bassi istinti”. Le armi in lattice considerate come strumenti di offesi atti a provocare ferite, addirittura mortali, nei partecipanti ai live.
Eppure, la stessa giornalista Beatrice Boero - che ora si è tirata addosso l'ira e i peggiori improperi da parte di tutti i giocatori italiani - qualche tempo fa aveva scritto quest'altro articolo in cui parlava in termini tutt'altro che negativi dei giochi e di chi li praticava.
Ma cosa è successo nel frattempo? Cosa le ha fatto cambiare idea, spostandola su posizioni analoghe ai peggiori denigratori della nostra passione?
Se esaminiamo l'articolo placando per un attimo la nostra indignazione, ci rendiamo conto che le peggiori scempiaggini (perchè tali sono) che la Boero ci rifila provengono dall'intervista a due giocatori, Morgana e Franco. Sono loro a suffragare dalla loro posizione di esperti intervistati le accuse fatte al gioco di ruolo dal vivo ed assimilabili nella sostanza a quello del gioco in generale.
Ed è proprio questo che alla fine mi ha spinto a pensare che sì, l'articolo è scritto male, porta avanti dei pregiudizi sbagliati, è inesatto, è odioso... ma che la colpa non è proprio tutta della giornalista, la quale in fondo altro non fa se il suo lavoro (magari un po' male, ma non si può pretendere una preparazione enciclopedica da un'articolista di cronaca bianca chiamata ad occuparsi ogni giorno delle materie più disparate).
Perchè delle due l'una.
O la Boero ha stagliuzzato e riaggiustato le dichiazioni dei due giocatori, e allora i due intervistati dovevano rendersi conto della persona con cui avevano a che fare e stare più attenti a quello che dicevano; oppure le loro risposte sono state rese in maniera veritiera, e allora ci troviamo di fronte ad un caso di rara ingenuità e soprattutto di imperdonabile superficialità (soprattutto da parte di chi partecipa ad un gioco che si chiama In Nomine Satanis... andiamo, non vi viene il sospetto che un'ambientazione con questo titolo possa essere travisata? Non è il caso di tenersi pronti a rispondere a tono ad eventuali domande insidiose?).
Certo, vi è anche una terza ipotesi, ossia che la Boero abbia inventato tutto di sana pianta, interviste comprese, per portare avanti la sua crociata contro i giochi di ruolo dal vivo violenti ed immorali. Però il mio caro amico Ockham e il suo infallibile rasoio mi porterebbero ad escludere tale ipotesi per tre ragioni: primo, una giornalista regolarmente iscritta all'Albo di Roma rischia uno screditamento professionale mica da poco a fare un giochetto del genere; secondo, le risposte paiono molto dettagliate (citano precise somme di denaro e aspetti poco noti a dei “profani”); terzo, alla Boero costava molta meno fatica trovare un paio di giocatori e chiedergli di parlare delle loro attività, piuttosto che inventarsi chissà quali particolari su di un argomento del quale sa poco o nulla.
E dunque qui sta la nostra colpa come giocatori. Quasi un anno fa vi parlai sempre da questo blog della deprecabile tendenza dei giocatori a sentirsi superiori rispetto ai “non giocatori” finendo col creare una ghettizzazione volontaria; ora non posso non lamentare un'altra pessima abitudine, quella della superficialità e dell'improvvisazione.
Noi tutti dobbiamo svegliarci e prendere coscienza che il gioco organizzato - soprattutto quello a maggiore evidenza esterna, come il gioco di ruolo dal vivo - non è più un semplice passatempo per pochi eletti, ma un fenomeno sociale con conseguenze economiche non indifferenti e ormai sotto i riflettori dei media. Non dico che sia necessario un ufficio stampa per ogni singola associazione ludica, ma di sicuro è opportuno che tutto il mondo ludico acquisti questa consapevolezza condivisa: basta ingenuità, siamo persone adulte che praticano uno sport della mente e pertanto le nostre associazioni devono dotarsi di una “professionalità ludica” irreprensibile.
Negli anni scorsi ho sempre avuto la fortuna di far parte di associazioni che adottavano tale approccio, fin dai tempi delle bellissime serate passate ad impersonare in un gioco di ruolo dal vivo un cadetto dell'Accademia della Flotta Stellare per arrivare alla pur faticosa ma sempre esaltante organizzazione dei vari Giocaroma.
La Boero ha certo scritto un pessimo articolo, la foto presente sul sito è stata presa "senza autorizzazione" da un sito scelto a caso (anche se, va detto, non è mai l'autore dell'articolo a scegliere le immagini a corredo), Il Tempo si è indubbiamente comportato in maniera scorretta disabilitando d'autorità i commenti all'articolo stesso e quindi negando il diritto di replica agli interessati (pur se lodevole è stata la pubblicazione oggi di una delle tante lettere inviate alla redazione dalle associazioni ludiche giustamente sul piede di guerra)... però la nostra indignazione – secondo il modesto parere di chi scrive – deve essere indirizzata tanto agli autori di un così rozzo e violento attacco, quanto a quegli appassionati che ancora non si sono resi conto che il gioco è una delle attività più serie a cui possa dedicarsi un essere umano e che non tutto ciò che lo riguarda può essere improvvisato o raffazzonato.
E forse l'unico lato positivo dell'intera vicenda sarà proprio quello di una maggiore coesione tra le diverse realtà ludiche, nata alla luce dell'esigenza di dare una risposta comune e ragionata alla solita valanga di banalità dalla quale siamo stati ricoperti.
lunedì 15 febbraio 2010
Viva i castelli di sabbia!
Il termine è sandbox, letteralmente “scatolone di sabbia”, ossia uno spazio recintato riempito di sabbia che va per la maggiore nei parchi per bambini americani (nelle puntate dei Simpson lo si vede spesso!) e nel quale si possono creare piste per le biglie, costruzioni e quant'altro. Noi figli della cultura marittima mediterranea potremmo accostarlo ai “castelli di sabbia” con i quali mediante secchiello e paletta intere generazioni hanno ornato le spiagge di tutta la penisola.
In ambito ludico, il concetto è semplice: un sandbox non è un gioco definito, limitato da regole applicabili solo in uno specifico sistema. Un sandbox è un gioco che fissa solo dei “paletti” molto ampi, all'interno dei quali il giocatore si muove pressochè liberamente per ricreare un “ambiente” che assecondi i suoi gusti.
Tanto per capirci, parlando di videogiochi, la serie di Sim City è fin dalla sua primissima incarnazione l'esempio più classico di sandbox. Usando le meccaniche di base fornite dal programma si può creare la città che si vuole, bella o brutta, industriale o ecologica, commerciale o residenziale. Il gioco si preoccupa unicamente di mantenere una plausibilità alle attività del giocatore (indipendentemente da quello che le sta intorno, una centrale a gas produrrà sempre un certo quantitativo di inquinamento, che bisognerà compensare in qualche modo), una coerenza interna che andrà rispettata... ma nel modo e con gli strumenti liberamente scelti dal giocatore.
In altri termini, un sandbox è un gioco che ti permette sostanzialmente di fare quello che vuoi, esprimendoti liberamente e creando il tuo mondo senza dover necessariamente apportare delle varianti esplicite alle regole.
Anche nel campo dei giochi da tavolo e dei wargames esistono i sandbox. Possiamo citare ancora una volta Commands and Colors: Ancients che fornisce delle unità generiche ed una mappa ad esagoni mobili da ricombinare di volta in volta per ricreare le più svariate battaglie dell'antichità o perfino battaglie ipotetiche. Possiamo ricordare un sistema di skirmish da me molto apprezzato, quello dell'italianissimo Song of Blade and Heroes (su Gioconomicon troverete la mia recensione dell'ultimo arrivato nella serie: il moderno Flying Lead), sul cui impianto di base si possono innestare regole aggiuntive che modifichino sostanzialmente lo svolgimento della partita in base alla situazione che si vuole simulare.
Naturalmente – con tutte le sue promesse di libertà creativa – non dobbiamo pensare che il sandbox sia un modello ideale a cui tutti i giochi devono tendere. Un sandbox rischia di sembrare eccessivamente generico nelle sue regole, per forza di cose perde alcune sottigliezze tipiche dei giochi più specializzati, alle volte sembra “piatto” a causa delle numerose semplificazioni che deve fare per creare delle regole adattabili un po' a tutto.
Insomma, creare un buon sandbox è un'impresa molto difficile per un game designer. Ma i pochi che sono riusciti a farlo hanno generalmente ottenuto dei risultati ottimi, dei veri cult del panorama ludico.
Un po' come i nostri cari castelli di sabbia, un gioco che si ripete da secoli sulle coste di tutti i mari.