Ovvero, come unire la passione per il gioco con quei pochi e confusi ricordi liceali della filosofia kantiana. In altre parole, una risposta un po' scherzosa e paradossale ad un interrogativo più curioso che realmente utile: in che modo lo spazio e il tempo, le due forze nelle quali noi ci muoviamo nella nostra attività intellettuale (e quindi, per estensione, anche nella nostra attività ludica intesa come forma di espressione delle nostre capacità intellettive), influiscono sul gioco e sul giocare.
Cominciamo dal tempo, la forma del senso interno per il nostro caro Kant: quanto la durata di una partita influisce sul gioco e quanto essa può venir presa come metro di misurazione di un determinato titolo ludico?
Il tempo è limitato, per tutti noi. Sia che siamo degli universitari perditempo che degli impiegati alla disperata ricerca di un'oretta libera, sia che siamo dei single impenitenti che degli uomini o delle donne di famiglia con mille preoccupazioni a cui badare, il passare dei minuti e delle ore è per noi un qualcosa di inesorabile. Piacerebbe a tutti poter dedicare una quantità infinita di tempo alla nostra attività preferita – non a caso detta anche “passatempo” – ma questo non ci è concesso. E quindi non possiamo permettere che un gioco, seppur bello ed affascinante, ci costringa a dedicarci ad esso per giornate intere, tralasciando quelli che sono i nostri pur più noiosi doveri.
Eppure, vi è chi accetta partite dalla durata indefinita (conosco wargamer più che felici di affrontare regolamenti a “tempo reale”... un eufemismo per definire simulazioni della battaglia di Austerlitz che durano esattamente quanto durò la battaglia reale: “solo” una decina di ore di gioco e passa la paura...), mentre altri si “stufano” già dopo un'ora passata davanti allo stesso tabellone.
Personalmente il mio senso del tempo ludico varia molto, in base al titolo che ho di fronte e – lo ammetto – anche a seconda del mio umore di quella giornata. Ho giocato volentieri per ore a titoli appartenenti a generi che non amo troppo, e allo stesso tempo ho “rigettato” wargames che già dopo venti minuti mi avevano letteralmente nauseato...
Ora, non fatemi fare la fine del Prichard in quella meravigliosa scena di quell'altrettanto meraviglioso film che è L'attimo fuggente, ma credo che – prendendo a prestito una definizione della fisica e muovendosi con tutte le cautele del caso – sia possibile individuare un metodo di valutazione dell'“intensità” di un certo gioco: l'intensità ludica è pari al livello di soddisfazione e divertimento che un determinato gioco è in grado di darci, rapportato alla durata media di una partita.
Per comprenderci, sono più che disposto ad accettare le due-tre ore di uno scontro a Tide of Iron visto quanto mi piace questo titolo, mentre non sopporto nemmeno dieci minuti di Wreckage visto il moto di ribrezzo che mi prende ogni volta che solo penso a quell'immonda schifezza.
L'intensità deve essere costante e rimanere sempre ad un certo livello: se un gioco mi dà una soddisfazione, diciamo, di quattro a fronte di una durata di due (con intensità ludica pari a due), un gioco che duri quattro dovrà almeno darmi una soddisfazione di otto per mantenere l'intensità a due (otto diviso quattro fa per l'appunto due)... se invece continuasse a darmi solo “quattro” mi piacerebbe di meno (quattro di soddisfazione diviso quattro di durata fa solo uno di intensità). Una girandola di numeri per dire più semplicemente: perchè lo consideri alla pari, un gioco più lungo mi deve divertire complessivamente almeno il doppio di un altro più breve che duri la metà. E' ciò che mi rende un fan sfegatato dei titoli alla Commands and Colors, pur sapendo che i ben più complessi titoli della serie Great Battles of History sono storicamente molto più plausibili.
Se adottiamo questa classificazione potremo comprendere se un determinato gioco vale la pena di essere giocato o no, considerando quanto poco tempo possiamo dedicare ad una delle più nobili occupazioni della nostra mente.
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