E' di pochi giorni fa la notizia ufficiale dell'imminente uscita della nuova edizione di Warhammer Fantasy. Per chi non lo conoscesse, IL wargame fantasy per eccellenza, il più diffuso e senz'altro il più amato e odiato regolamento esistente sul mercato. Di sicuro, il meglio supportato da un punto di vista commerciale, grazie alla sterminata (e costosetta...) gamma di miniature prodotta dalla sua casa produttrice, quella Games Workshop di cui già abbiamo avuto modo di parlare in passato.
Ora, Warhammer ha mille pecche, in certi punti è rimasto ancorato ad uno stile di regolamento ormai superato, viene spesso concepito solo per vendere altre miniature privilegiando un esercito a scapito di un altro... ma è Warhammer. Bello, movimentato, in certi momenti fin quasi eccessivamente “epico”.
Per me Warhammer ha il sapore del liceo. Ha il ricordo di una di quelle vagabondate del sabato pomeriggio nelle quali io e i miei amici – ancora con lo zaino di scuola in spalla e impazienti di goderci un finesettimana di libertà – eravamo soliti girare per i principali negozi di musica (loro), per i pochissimi negozi di giochi (io) e per i più forniti negozi di fumetti (tutti quanti). Perchè fu in una di quelle passeggiate al quartiere Prati di Roma che io, alla ricerca di qualcosa di tutto mio diverso dai wargame storici con i quali popolavo le serate di gioco con mio padre, vidi una gigantesca scatola colorata con sopra un reggimento di splendenti picchieri elfici e un'orda di feroci goblin. Ricordo l'eccitazione che mi spinse ad aprirla lì, mentre ero ancora davanti al negozio, attirandomi le occhiate di invidia e di stupore di alcuni ragazzi che come me non si capacitavano dell'enorme mole di miniature, elementi scenici, template di plastica, segnalini e manuali racchiusi in quello scrigno.
Si trattava, poi ho ricostruito, della quartaedizione, più razionale e lineare delle prime caotiche versioni del regolamento ma ben lontana dalle raffinatezze delle edizioni attuali.
Purtroppo tutto quel ben di Dio è andato sprecato. Non ho mai giocato una sola partita di Warhammer. Non che non abbia comprato o dipinto cose (Vi ricordate? Il mio esercito imperiale è il Progetto n. 5 per quest'anno e la mia libreria è piena di supplementi e manuali per almeno altre due edizioni del gioco). E' solo che per mancanza di avversari e anche di un po' di voglia non sono mai andato al di là della visione esterna di qualche partita dimostrativa alle convention o di qualche scontro nell'ambito di un torneo. E così i miei tenaci reggimenti imperiali, le mie potenti macchine da guerra e anche le mie valorose schiere di cavalieri bretonniani sono sempre rimasti a prendere polvere in cantina o ad invecchiare negli armadi.
E devo dire che il tono generale dei prodotti della Games Workshop non mi ha aiutato in questo. Leggere un numero di White Dwarf - la rivista della ditta - significa sottoporsi ad una serie di iperboli apparentemente mirate a solleticare l'immaginazione di un ragazzino di dodici anni particolarmente scemo. Tutti i guerrieri sono “formidabili”, tutte le armi tirano colpi “spietatamente efficaci”, tutti gli incantesimi sono “terribilmente devastanti”, tutte le cariche di cavalleria “non lasceranno scampo alle attonite schiere del nemico”. Eccetera eccetera. Viene da chiedersi che la vera rarità in Warhammer sia un soldato semplice come molti altri che stringe disperatamente la sua picca tra le mani pregando di non finire sbudellato dal primo orchetto che passa.
Insomma, è un'atmosfera piuttosto fastidiosa per un ultratrentenne che chiede solo una diversione ad un gioco fantasy e non una sequela senza fine di dissenterie verbali. E' di guerra che parliamo, non di fuochi d'artificio e l'epicità non la si ottiene urlando ma mantenendo alto il tono della narrazione.
In effetti, anche quando ho scoperto una realtà associativa in cui gli avversari (e anche gli amici) non mi sono più mancati, Warhammer mi ha sempre un po' respinto. La sua massa di regole speciali, di oggetti magici, di truppe con caratteristiche particolari ed eccezioni al regolamento, le sottigliezze della composizione di un esercito (che, se sbagliata, talvolta condanna alla sconfitta prima ancora dell'inizio della partita) e altro ancora me ne hanno tenuto lontano, nonostante l'ambientazione mi piaccia davvero (a chi non piacerebbe un fantasy sostanzialmente ambientato nel Cinquecento, con tanto di armi da fuoco e per l'Impero anche macchine da guerra leonardesche?) e l'idea di combattere una bella battaglia con mostri e incantesimi mi stuzzichi molto.
Il problema non è dovuto a un mio scarso amore per i wargame fantasy. Al contrario, ne ho provati diversi in questi anni e mi sono fatto molto coinvolgere da Guerra dell'Anello della stessa Games Workshop (e vorrei tanto provare a fare qualche scontro per il caro vecchio gioco di schermaglia del Signore degli Anelli).
Insomma, Warhammer rappresenta per me una vecchia sfida mai vinta, un vuoto ancora da colmare e al quale periodicamente mi dedico senza riuscire però a “partire” davvero. Ma nonostante ciò, è un leit motif della mia esperienza ludica che continuo a seguire, pur da lontano.
Quella che è stata appena annunciata è l'ottava edizione. Magari questa volta ci farò un giro.
Ora, Warhammer ha mille pecche, in certi punti è rimasto ancorato ad uno stile di regolamento ormai superato, viene spesso concepito solo per vendere altre miniature privilegiando un esercito a scapito di un altro... ma è Warhammer. Bello, movimentato, in certi momenti fin quasi eccessivamente “epico”.
Per me Warhammer ha il sapore del liceo. Ha il ricordo di una di quelle vagabondate del sabato pomeriggio nelle quali io e i miei amici – ancora con lo zaino di scuola in spalla e impazienti di goderci un finesettimana di libertà – eravamo soliti girare per i principali negozi di musica (loro), per i pochissimi negozi di giochi (io) e per i più forniti negozi di fumetti (tutti quanti). Perchè fu in una di quelle passeggiate al quartiere Prati di Roma che io, alla ricerca di qualcosa di tutto mio diverso dai wargame storici con i quali popolavo le serate di gioco con mio padre, vidi una gigantesca scatola colorata con sopra un reggimento di splendenti picchieri elfici e un'orda di feroci goblin. Ricordo l'eccitazione che mi spinse ad aprirla lì, mentre ero ancora davanti al negozio, attirandomi le occhiate di invidia e di stupore di alcuni ragazzi che come me non si capacitavano dell'enorme mole di miniature, elementi scenici, template di plastica, segnalini e manuali racchiusi in quello scrigno.
Si trattava, poi ho ricostruito, della quartaedizione, più razionale e lineare delle prime caotiche versioni del regolamento ma ben lontana dalle raffinatezze delle edizioni attuali.
Purtroppo tutto quel ben di Dio è andato sprecato. Non ho mai giocato una sola partita di Warhammer. Non che non abbia comprato o dipinto cose (Vi ricordate? Il mio esercito imperiale è il Progetto n. 5 per quest'anno e la mia libreria è piena di supplementi e manuali per almeno altre due edizioni del gioco). E' solo che per mancanza di avversari e anche di un po' di voglia non sono mai andato al di là della visione esterna di qualche partita dimostrativa alle convention o di qualche scontro nell'ambito di un torneo. E così i miei tenaci reggimenti imperiali, le mie potenti macchine da guerra e anche le mie valorose schiere di cavalieri bretonniani sono sempre rimasti a prendere polvere in cantina o ad invecchiare negli armadi.
E devo dire che il tono generale dei prodotti della Games Workshop non mi ha aiutato in questo. Leggere un numero di White Dwarf - la rivista della ditta - significa sottoporsi ad una serie di iperboli apparentemente mirate a solleticare l'immaginazione di un ragazzino di dodici anni particolarmente scemo. Tutti i guerrieri sono “formidabili”, tutte le armi tirano colpi “spietatamente efficaci”, tutti gli incantesimi sono “terribilmente devastanti”, tutte le cariche di cavalleria “non lasceranno scampo alle attonite schiere del nemico”. Eccetera eccetera. Viene da chiedersi che la vera rarità in Warhammer sia un soldato semplice come molti altri che stringe disperatamente la sua picca tra le mani pregando di non finire sbudellato dal primo orchetto che passa.
Insomma, è un'atmosfera piuttosto fastidiosa per un ultratrentenne che chiede solo una diversione ad un gioco fantasy e non una sequela senza fine di dissenterie verbali. E' di guerra che parliamo, non di fuochi d'artificio e l'epicità non la si ottiene urlando ma mantenendo alto il tono della narrazione.
In effetti, anche quando ho scoperto una realtà associativa in cui gli avversari (e anche gli amici) non mi sono più mancati, Warhammer mi ha sempre un po' respinto. La sua massa di regole speciali, di oggetti magici, di truppe con caratteristiche particolari ed eccezioni al regolamento, le sottigliezze della composizione di un esercito (che, se sbagliata, talvolta condanna alla sconfitta prima ancora dell'inizio della partita) e altro ancora me ne hanno tenuto lontano, nonostante l'ambientazione mi piaccia davvero (a chi non piacerebbe un fantasy sostanzialmente ambientato nel Cinquecento, con tanto di armi da fuoco e per l'Impero anche macchine da guerra leonardesche?) e l'idea di combattere una bella battaglia con mostri e incantesimi mi stuzzichi molto.
Il problema non è dovuto a un mio scarso amore per i wargame fantasy. Al contrario, ne ho provati diversi in questi anni e mi sono fatto molto coinvolgere da Guerra dell'Anello della stessa Games Workshop (e vorrei tanto provare a fare qualche scontro per il caro vecchio gioco di schermaglia del Signore degli Anelli).
Insomma, Warhammer rappresenta per me una vecchia sfida mai vinta, un vuoto ancora da colmare e al quale periodicamente mi dedico senza riuscire però a “partire” davvero. Ma nonostante ciò, è un leit motif della mia esperienza ludica che continuo a seguire, pur da lontano.
Quella che è stata appena annunciata è l'ottava edizione. Magari questa volta ci farò un giro.
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