martedì 10 marzo 2009

La prospettiva del pedone

Esiste un fenomeno psicologico molto particolare che colpisce alcuni giocatori, in special modo quelli di wargames ma non solo.
Si passano ore e ore a studiare regolamenti, a concepire le tattiche di battaglia più elaborate, a valutare con attenzione i comandi che si possono dare ai propri uomini soppesandone i vantaggi e gli svantaggi... poi, nel bel mezzo della partita, si deve verificare se una data unità è in grado di coprire una certa distanza, se esiste una "linea di vista" libera che permetta ai propri arcieri di individuare il loro bersaglio, se il comandante è abbastanza vicino alle truppe, se quel dannato autobus in fiamme piazzato in mezzo alla strada garantisce una copertura sufficiente al nostro plotone.
Allora, il giocatore compie un gesto inusitato per un comandante, un'azione che per un qualche secondo pone la simulazione ludica al di sopra anche della realtà: il giocatore si china sul tavolo e, abbassatosi all'altezza della sua miniatura o della mappa di gioco, vede attraverso i suoi occhi. Con questa semplice mossa il comandante supremo si mescola alle sue truppe, diventa i suoi soldati e, forse, capisce cosa esse provano.
Il processo di immedesimazione può anche essere meno "intenso" di quello che vi ho appena descritto, ma quanto meno esso permette al giocatore attento di visualizzare per un attimo cosa dovesse provare un reggimento di fanteria impegnato a difendere fino all'ultimo uomo il fianco di uno schieramento o uno squadrone di cavalleria chiamato a lanciarsi in una carica quasi certamente suicida solo per fornire un diversivo. Ecco che nascono le leggende sui tavoli da gioco, i reggimenti più valorosi, i guerrieri che "muoiono" solo dopo aver mantenuto eroicamente la propria posizione, i soldati semplici che da soli neutralizzano una postazione di mitragliatrici nemiche. I nostri pezzi di gioco acquistano vita e noi, ancor di più, siamo scaraventati nel bel mezzo di eventi effettivamente inesistenti ma reali nella nostra esperienza concreta del momento.
Mi ricordo che tempo fa ebbi modo di portare all'estremo questa consapevolezza, grazie ad un gioco molto "personale" non mediato da un tavolo e da una mappa: una battaglia di gioco di ruolo dal vivo. Mi trovavo nel bel mezzo della linea principale dello schieramento e ricevetti - come tutti gli altri intorno a me - l'ordine di avanzare sul nemico. Bastarono pochi passi per infrangere tutte le false certezze che mi avevano regalato i miei studi sulle battaglie medievali. Mantenere l'allineamento era quasi impossibile, i nemici si avvicinavano minacciosi, il sudore si infilava nelle pieghe della veste, le armi sbattevano le une sulle altre e pensare anche alla più semplice mossa d'attacco pareva impossibile. Eppure era solo un gioco, nessuno sarebbe morto quella mattina nè tantomeno io avrei potuto ferirmi in alcun modo; tuttavia, da quel giorno in poi, la tensione e l'emozione provata mi avrebbero fatto riflettere in maniera molto diversa ogni volta che mi fossi trovato ad ordinare una carica.
Il gioco fa anche questo, dissociandoci dalla realtà quotidiana ci aiuta a calarci (senza rischi) in un'altra realtà simulata, permettendoci di comprenderne alcune caratteristiche che altrimenti ci sfuggirebbero.
Sapere che oltre una certa distanza gli ordini corrono il rischio di arrivare confusi o non arrivare affatto, o ancora che alla fine del secondo tempo i calciatori sono troppo stanchi per seguire alla lettera gli schemi provati in allenamento ci aiuta ad imparare alcune cose importanti sulle battaglie, sugli sconvolgimenti finanziari, sugli stress di un evento sportivo. Si impara, dunque, ma soprattutto ci si può ritrovare a valutare il mondo da una nuova prospettiva.
Quella del pedone.

6 commenti:

  1. interessante....è che a volte si gioca e non si pensa...forse è questo il nocciolo della questione!

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  2. Interessante pensiero, l'altro giorno seguivo un simile filone logico, e pensavo al fatto che facendo tante simulazioni di battaglia alla fine ti rendi conto che nessuna battaglia viene vinta senza perdite, anche la più completa delle vittorie comporta sempre un costo in vite. E questo mi faceva riflettere su quanto spesso si mandano al fronte in "missioni di pace", o in "guerre lampo", delle persone, che magari partono pensando che andrà tutto bene, che nessuno di farà male... e poi, nella migliore delle ipotesi ci sarà sempre qualcuno che non torna.

    Sempre.

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  3. Beh, questo è dovuto anche alla progressiva spersonalizzazione che la guerra ha subito nel corso dei secoli. L'aumento dell'efficacia delle armi (soprattutto con il trasferimento del focus del combattimento dal corpo a corpo fisico allo scontro a distanza mediato da armi sempre più tecnologizzate) ha aumentato le dimensioni medie dei campi di battaglia; fondamentali in questo senso sono due titoli di Keegan, "The mask of command" e "The face of battle" (non conosco i titoli italiani, ma credo siano stati entrambi tradotti).
    Tornando a noi non è un caso che sia più facile immedesimarsi nei nostri segnalini o nei nostri soldatini di piombo, visto che i nostri campi di battaglia sono grandi in media 120 per 180 centimetri e che i due (o più) comandanti avversari hanno una possibilità di comunicazione reciproca inusitata in un vero scontro armato.

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  4. Bell' articolo! Quante volte mi son chinato a guardare quello che vedevano i miei amati soldatini. Prima della battaglia provo un grande piacere nell' osservare lo schieramento, non solo dall' altro ma, anche abbassandomi alla visuale delle unità. Quando è tutto dipinto è tutto molto suggestivo.
    P.S.
    I libri di Keegan citati, sono stati tradotti e publicati in italiano con i titoli di: "La maschera del comando" e "Il volto della battaglia". Entrambi molto belli.

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  5. E, a proposito della comunicazione e della visione del terreno, un po' di anni fa ho assistito a una simulazione tra miniature di uno scontro in Vietnam. Ebbene, lì ognuno (grazie a tavoli separati, e a un arbitro neutrale) sapeva sì e no dove stavano i militari più vicini al proprio ufficiale, e le comunicazioni tra i vari gruppi, anche della stessa fazione, erano regolati da walkie-talkie disturbati... (AJ)

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  6. Ho assistito anche io ad una cosa del genere ed era sempre sul Vietnam. Mi trovavo nel mitico negozio di Strategia e Tattica... con ogni probabilità si trattava degli stessi organizzatori.
    L'effetto era notevolissimo e creava una tensione non da poco!

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