venerdì 28 ottobre 2011

Siamo mainstream o no?

In un periodo in cui si susseguono manifestazioni come l'Essen Spiel, il Games Day e Lucca Comics and Games, capaci di richiamare decine se non centinaia di migliaia di appassionati del mondo del gioco un po' da tutta Europa, non posso fare a meno di chiedermi se abbia ancora senso di parlare del "gioco intelligente" - confesso di non aver mai amato troppo questa espressione - come di un fenomeno di nicchia.
Insomma, siamo ancora lo sparuto gruppetto di geek lievemente asociali e un po' dissociati dalla realtà, o siamo invece rientrati anche noi nel mainstream, ossia nella "normalità" delle tendenze?

Un incontestabile esempio di mainstream. Ve lo immaginate giocare a Warhammer lì in mezzo? Io no, ma non date idee strane ad alcuni appassionati che conosco... Warhammer estremo!!!

Considerati il numero degli appassionati, lo stato attuale del mercato, la quantità di investimenti commerciali del settore, il giro d'affari complessivo e l'ormai frequente (seppur non ancora capillare) presenza di negozi specializzati anche nelle città di piccole-medie dimensioni, appaiono ovvi i cambiamenti che il nostro piccolo mondo ludico ha subito dai suoi umili e quasi "carbonareschi" inizi.
Tuttavia, molta strada va fatta prima di raggiungere quanto meno lo status di cui godono ad esempio i trekker. Fino a una decina di anni fa, rivelare al mondo la propria passione per Star Trek era un'impresa emotiva con ripercussioni paragonabili quasi ad un outing. Le prime reazioni comprendevano scherno, accuse di infantilismo e non troppo velate allusioni alla lunghezza delle proprie orecchie. Oggi, sebbene si possa ancora andare incontro a molti degli inconvenienti di cui sopra, la saga di Kirk, Picard e compagnia è talmente entrata nell'immaginario collettivo che quanto meno i suoi elementi fondamentali sono ben noti e non si viene visti più come degli alieni dalla pelle verde...
Ecco, la conoscenza degli elementi fondamentali. Far sì che il gioco esca dalle chiuse stanze delle associazioni e diventi una realtà comune, nella quale il classico "uomo della strada" (questa è proprio la giornata delle definizioni che detesto...) può imbattersi anche casualmente, senza cercarla appositamente. Un po' come il calcio - che non puoi evitare nemmeno se lo vuoi! - o la passione per la cucina.

I dadi da brodo: punto di contatto tra mondo del gioco e arte della cucina? 

E questa non è un'impresa facile per un mondo così complesso e sfaccettato come è quello del gioco, in primo luogo per colpa degli stessi giocatori e delle loro fastidiose fisime. Sì perché, diciamocelo francamente, qualcosina di cui rimproverarci noi giocatori ce l'abbiamo. 
Ne avevamo già parlato ai tempi della tanto discussa "intervista" della "giornalista" Beatrice Boero (virgolette volute...). Il fatto è che probabilmente noi per primi non abbiamo ancora acquisito quell'autoironia, quell'accortezza un po' diplomatica, diciamo quella leggerezza che ci permette di dare un'immagine rilassante e accettabile al mondo esterno. Non ci liberiamo da una certa "puzza sotto il naso" che abbiamo nei confronti di chi non gioca, un senso di superiorità dovuto certo alla freddezza delle reazioni dei "profani" nei confronti del nostro hobby ma che ci spinge a compiacerci dei nostri termini astrusi (eurogame, ameritrash, card-driven, CCG, LCG, GdR, beer and pretzel, filler...) e che tiene lontano o in alcuni casi spaventa anche chi potrebbe finire con l'interessarsi ad un qualche aspetto del nostro mondo.
Un mondo che è quanto di più complesso possa esistere, cosa che crea una ulteriore barriera alla comunicazione e all'ingresso. I giocatori si suddividono a loro volta in wargamers (fantastici o storici...), appassionati di giochi astratti "alla tedesca", amanti degli strategici "all'americana", maniaci dei giochi collezionabili, malati dei giochi di gestione economico-ferroviaria, strenui frequentatori dei giochi di ruolo dal vivo... tutti gruppi spesso in contrasto tra loro (è difficile trovare chi ami più tipologie di giochi contemporaneamente o che, di nuovo, non ritenga che il suo genere preferito sia a priori migliore degli altri) e che disorientano il non addetto ai lavori. 
Ed è un peccato, perché mai come in questo momento il mercato ha potuto annoverare decine di titoli "introduttivi", ossia giochi che spieghino le caratteristiche e le meccaniche di base di un determinato genere: basterebbe proporre all'amico non giocatore di scegliere quale genere lo interessa di più e poi coinvolgerlo da subito in una partita rapida, divertente e godibile per chiunque. E poi, chi da giovane non ha mai fatto una serata con il RisiKo! o il Monopoly, ottimi punti di ingresso per gli strategici o i gestionali? Perché non partire da queste esperienze condivise e "socialmente accettate" per approfondirle con titoli più interessanti?



La variante definitiva: RisiKo Live!

In più, a questi limiti "interni" si aggiungono anche quelli non direttamente ascrivibili al comportamento dei giocatori stessi. 
E' chiaro, sempre pensando alla cara Beatrice, il pericolo del fraintendimento dovuto principalmente a superficialità e ignoranza è sempre presente. Talvolta è strumentale, talvolta invece è di carattere culturale. Quante volte, ad esempio, mi sono sentito definire un amante del gioco d'azzardo solo perché parlavo della mia "passione per il gioco"? E vagli a dire che il poker o la roulette forse non dovrebbero nemmeno essere considerati dei giochi in senso stretto, o almeno non nel senso huizinghiano del termine, in quanto attività poste in essere per il raggiungimento di uno scopo esterno al gioco stesso: la vincita della posta messa sul tavolo. Per non parlare delle occhiate strane e delle risatine che ricevo quando dico che quando avevo più tempo da giovane facevo molti giochi di ruolo...
Ma vi è un altro elemento che cospira contro di noi, ed è ben più grave di qualche malinteso o delle idee sbagliate di una giornalista affrettata. Il gioco di per sé è astrazione, lo abbiamo detto. Nella sua accezione più nobile è un'attività che crea una realtà a parte, lontana dalle circostanze materiali che la circondano e basata su regole altre. Purtroppo, però, quella in cui viviamo è una società che sta perdendo sempre di più la sua capacità di astrazione.
Legata all'ideologia del consumo del prodotto (o meglio, dell'immagine di un prodotto), costretta a ripiegarsi su sé stessa da problemi economici ciclici, strangolata da una esasperata competitività e soffocata da un materialismo utilitaristico sempre più spinto, non riesce a comprendere come delle persone non necessariamente adolescenti possano decidere di "distaccarsi" per tre-quattro ore e "fingere" di essere qualcun altro o di trovarsi in circostanze "non reali". La perdita dell'immaginifico ci colpisce gravemente e ci fa apparire agli occhi della maggioranza delle persone nel migliore dei casi come dei creduloni poco cresciuti, nel peggiore come dei dissociati possibilmente pericolosi.

La prima immagine che viene in mente ad un "profano" quando pensa un appassionato di giochi. Beh, forse non di un appassionato di giochi qualsiasi, ma sicuramente di chi pratica i giochi di ruolo dal vivo. 

Certo, non sempre il gioco è relazione interpersonale. Soprattutto quando i giocatori stessi si incontrano solo per giocare e non per trarne divertimento, quando il fine è solo il gioco e non il piacere di stare in compagnia con degli amici e di misurarsi pacificamente in un duello di ingegni. Ma, immagini idilliache a parte, in generale il gioco è comunque qualcosa di diverso dal solito, di non omologabile, di non corrispondente alle normali logiche quotidiane.
Ecco perché, come tale, avrà sempre difficoltà ad inserirsi nella "corrente principale", in quel mainstream dal quale è attirato ma che spesso finisce anche per temere.

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