martedì 28 giugno 2011

Il Fattore C...

(Questo post è stato ispirato da ed è dedicato a Zerloon, grande compagno delle mie scorrerie ludiche nonché uomo dotato di incredibili poteri probabilistici... incredibili, ma sbagliati)

OK, lo conoscete tutti. E' quella dannata forza nascosta che manda in rotta la vostra unità migliore nell'ultimo turno, trasforma la giocata più meditata in un fallimento imbarazzante, rende del tutto inutile i ragionamenti logico-strategici di un'intera serata, fa dipendere l'esito di un intero scontro da un unico maledettissimo tiro. Si manifesta spesso in quel diabolico marchingegno che è il dado, ma può anche assumere la forma di una carta, una moneta o perfino di una decisione imprevedibile dell'avversario. 
E' lui, il terribile Fattore C (da non confondere con il Progetto C, che è tutta un'altra cosa...).
Croce e delizia di ogni giocatore, è un elemento - se non L'elemento - di fondamentale importanza per un game designer. Uno degli obiettivi primari della fase del playtesting, il "collaudo" che con i suoi aggiustamenti ci porterà dal prototipo al prodotto finito, è infatti proprio la calibrazione di questo elemento, in modo che non rovini il divertimento degli usufruitori finali pur apportando il suo carico di dinamicità al gioco stesso.
Ma come si fa a equilibrare un fattore che non si può definire, come la fortuna? E non sarebbe meglio ridurlo al massimo o eliminarlo del tutto, così che solo le abilità dei giocatori possano influire sull'esito finale?
Innanzitutto, come ho già avuto modo di affermare in passato, ritengo che l'elemento casuale, la "fortuna", sia imprescindibilmente legato allo stesso concetto di gioco. E' l'alea di Caillois, quell'imprevedibilità del risultato che ci dà la "vertigine", ossia il piacere dell'ignoto e la sensazione di dominio della realtà che è alla base stessa del nostro bisogno di giocare. 
E non crediate che basti eliminare i dadi per togliere di mezzo la Dea Bendata! Nemmeno giochi apparentemente meccanico-deterministici come gli scacchi ne sono immuni, perché sull'andamento della partita influiranno elementi da noi non controllabili o inconoscibili, come le conoscenze dell'avversario, la sua predilezione per questo o quell'atteggiamento tattico, il fatto che abbia di recente studiato una nuova variazione che voglia mettere in pratica per la prima volta o perfino la sua tendenza all'errore.
Insomma, senza fortuna non c'è gioco.
E, allora, l'elemento casuale è davvero un nostro nemico? Il detto di Machiavelli sulla fortuna è ben noto, essa "è donna, et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla" (Il Principe, Capitolo XXV). Ora, non me ne vogliano le care signore (il buon Niccolò scriveva in un'epoca molto diversa dalla nostra per certi aspetti...), ma il significato dell'affermazione è che essa va dominata, contrastata e piegata al proprio volere.


Niccolò Machiavelli (1469-1527). Un vero genio, uno dei più acuti pensatori della storia dell'Occidente e precursore del concetto di esercito nazionale. Ma con uno come lui io non ci vorrei giocare nemmeno a rubamazzo...


Tuttavia, per farlo dobbiamo riconoscerla e capire come essa influisca sull'esito di uno scontro, di una lotta politica o (nel caso nostro) di una partita. Vi propongo dunque un mio sistema di analisi che credo sia utile per affrontare la questione.
Nell'ambito della fortuna, possiamo distinguere tra qualità e quantità di tale elemento.
Definiamo con quantità il tot di volte in cui un regolamento ci chiede di determinare un evento di gioco in una qualsiasi maniera (quanti tiri di dadi vanno fatti, quanto spesso e quante carte vanno estratte, quante svolte casuali sono previste nella partita). Definiamo invece con qualità la forza di questi eventi casuali rispetto all'andamento del gioco (quanto sono rilevanti gli effetti di un tiro di dado, l'estensione delle conseguenze di una determinata carta, quanto la preferenza per una scelta piuttosto che un'altra possa rivoluzionare il risultato della sessione di gioco).
Adottando questo schema di analisi, ci risulta possibile comprendere meglio il reale impatto dell'elemento casuale su di un gioco. Qualche esempio per capirci.
Un gioco in cui la qualità dell'elemento fortuna è minima, mentre la quantità è al massimo può essere Warhammer Fantasy, soprattutto per quel che riguarda le sue meccaniche di risoluzione del combattimento. Qui si tirano vagonate e vagonate di dadi, che però generano risultati da confermare e riconfermare (con lo schema divenuto ormai classico: tiro per colpire - tiro per ferire - tiro salvezza), ma che comunque - tranne alcuni casi in cui secondo alcuni il regolamento "sballa" - producono risultati molto "granularizzati", come la perdita di pochi modelli.
All'estremo opposto troviamo il venerando Diplomacy. Qui di dadi non ce ne sono proprio, l'elemento casuale sembra non avere alcun peso... salvo che basta che l'avversario ordini un attacco in una regione piuttosto che in un'altra, anche quando entrambe le scelte hanno lo stesso valore strategico, per mandare a rotoli la nostra manovra e forse l'intera partita. Qui la fortuna influisce relativamente di rado, ma quando c'è ha conseguenze devastanti, il che fa di Diplomacy il gioco ideale per l'applicazione del principio di Machiavelli di cui sopra (e non è un caso che esista una variante del sistema ambientata nell'Italia rinascimentale che porta proprio il nome del nostro insigne filosofo).
In mezzo avremo il pur complesso Battletech che, con i suoi relativamente pochi tiri di dado è in grado di determinare esiti di scarsa rilevanza (quante volte avete riempito un 'Mech avversario di piombo e laserate per poi scoprire che non gli avete fatto chissà che danno) o anche eventi catastrofici (una raffica quasi inutile di mitragliatrice che provoca una terribile esplosione interna delle munizioni, o un missile vagante che centra la testa del 'Mech nemico uccidendone sul colpo il pilota).
Naturalmente questo strumento di analisi non può essere applicato così com'è, rigidamente e senza criterio, pena incappare nella figuraccia dell'emerito Professor Prichard con i suoi stupidi schemetti resi immortali da L'Attimo Fuggente... Ad esempio, in uno stesso regolamento possiamo ritrovare meccaniche in cui l'equilibrio qualità/quantità dell'elemento casuale varia sensibilmente (lo abbiamo già detto, è il caso di Warhammer Fantasy, viste le differenze tra la citata granularità del meccanismo di risoluzione dei combattimenti e la drammaticità degli eventi legati ai test del morale o a quelli di fuga).


L'Attimo Fuggente (1989). No, NON vi sto suggerendo di valutare un gioco mediante un sistema di assi cartesiani!


Ancora, lo stesso sistema con le sue varianti può modificare tale bilanciamento, come succede con Commands and Colors. Nella sua versione più semplice, Battle Cry, il fatto che le unità non abbiano diminuzioni nel loro potenziale offensivo mantiene comunque elevata la quantità dell'elemento fortuna, ma al contempo ne abbassa relativamente la qualità visto che all'atto pratico perdere tre modelli o nessuno di un'unità non ha alcun effetto sul suo possibile fuoco di risposta. In CandC: Napoleonics, invece, il fatto che il numero di dadi tirati in combattimento dipenda dai blocchetti dell'unità ancora in campo va a intaccare la quantità della fortuna ma ne aumenta drasticamente la qualità, visto che basta "sbagliare" un assalto magari non preparandolo con un adeguato bombardamento d'artiglieria per rendere più difficile riprendere in mano la partita. La storia cambia con la versione Ancients, in cui - pur se dipendendo maggiormente dalle manovre del giocatore - l'elevato numero di carte che permettono di attivare una notevole porzione del proprio schieramento se correttamente allineato o che modificano radicalmente le sue capacità di movimento e offensive lasciano alta la quantità dell'elemento casuale incrementandone la qualità. 
Certo, va detto che in tutti i giochi di questa serie la fortuna ha un peso rilevante e la variazione nel suo equilibrio interno è stato un astuto espediente per caratterizzare i diversi titoli, rendendoli tutti potenzialmente appetibili. Potremmo dunque parlare di un terzo valore da calcolare, l'intensità della fortuna, ossia il prodotto tra la quantità e la quantità del caso in un dato regolamento.
Insomma, come avrete capito, valutare l'impatto dell'elemento casuale su di un gioco non è né un compito facile, né un'analisi che segue criteri sempre oggettivi. Quello che conta saranno unicamente i nostri gusti ludici in materia, che dovranno essere soddisfatti dal titolo che sceglieremo.
Il tutto capendo che dalla fortuna noi giocatori non potremo mai liberarci del tutto e che, in fondo, per risolvere questo annoso problema basta tirare sempre 6 (o 1... dipende dal regolamento!).

2 commenti:

  1. Che dire, non posso che riportare la frase che ormai uso sempre: "Quando il cul ragion contrasta, vince il cul, ragion non basta."

    Ti ringrazio per la dedica, che sento decisamente appropriata :D

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  2. Complimenti bell'articolo! Direi che hai trattato ottimamente il tema della fortuna in ambito ludico.

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