lunedì 20 giugno 2011

Come ti rifaccio Waterloo...


Piccola premessa. Io ho un rapporto problematico con le riviste di wargames e di giochi in generale. Essendo praticamente nato tra le copie di una di esse (il nome Pergioco dovrebbe ancora significare qualcosa per i ludici più “attempati”... ecco, visto che ci scriveva sopra mio padre, ci ho sguazzato dentro per tutta l’infanzia!), le conosco bene e rischio per questo di trovarle terribilmente noiose.
Quando però mi trovo di fronte ad una rivista ludica fatta come si deve so apprezzarla. E’ stato il caso per parecchi anni della francese Vae Victis (se solo non fosse stata così terribilmente gallocentrica nelle sue tematiche... ma chiedere ad un francese di non avere manie di protagonismo è come chiedere ad un inglese di cucinare qualcosa di mangiabile). Lo è stato, per un po’ di tempo, con l’immancabile White Dwarf (che trovo ormai utile solo “a sprazzi” e un po’ troppo legata a logiche pubblicitarie dell’ultimo prodotto Games Workshop appena uscito, eccezion fatta per i soliti interessantissimi approfondimenti scritti da Jervis Johnson per la rubrica “L’Alfiere”). Lo è adesso con l’inglese Wargames Illustrated che, seppur rilevata dai produttori di Flames of War, mantiene una notevole varietà di argomenti e rispetta la sua tradizione tipicamente anglosassone di saper coniugare storia e gioco in maniera mirabile.
Esattamente come è successo nell’ultimo numero di Maggio, tutto dedicato (bavetta bavetta) alla Guerra dei Trent’Anni, con qualche simpatico accenno alla Guerra Civile Inglese (BAVONA BAVONA!!!).
Ma siccome WI è una rivista degna di questo nome, il numero conteneva approfondimenti anche su altri periodi, altri regolamenti, altre ditte produttrici di miniature e degli interessanti excursus di carattere storico e storiografico.
Come forse state già sospettando a causa di tutti questi paroloni snocciolati in fila (aver frequentato il Liceo Classico fa molto male... evitatelo!), è proprio di uno di questi excursus che voglio parlarvi.
Perché tra un pupazzetto e l’altro, spunta un articolo di svariate pagine - come sempre splendidamente illustrate con foto e diagrammi esplicativi - scritto da Barry Van Danzig. L’oggetto del contendere è disarmante nella sua semplicità: chi ha vinto a Waterloo?

Waterloo (1970), un vero filmone, diretto da quel genio che era Sergej Bondarchuk. Decine di migliaia di comparse in uniformi perfette, un gelido Christopher Plummer nei panni di Wellington e un esplosivo Rod Steiger nei panni di Napoleone. Il film che ha praticamente sbancato De Laurentis, ma chissene, è un capolavoro: guardatelo, marsch!
 
Ok, sappiamo che i francesi hanno perso (mannaggia... una delle poche volte in cui tifavo Francia!). Ma Waterloo è stata vinta più grazie alla tenace resistenza delle truppe anglo-olandesi oppure in virtù dell’intuito strategico del Maresciallo Blucher che ha saputo piombare al momento giusto sullo schieramento di Napoleone, determinandone così la disfatta?
La domanda non è peregrina come può sembrare. L’immagine che abbiamo di Waterloo come di un’eroica battaglia in cui la sottile linea rossa dei britannici riporta la vittoria su di un brutale e mal coordinato attacco in massa francese (con i prussiani che arrivano solo alle ultime battute, vedendosela con un nemico ormai già in dissoluzione) ci è stata inculcata da secoli di storiografia innegabilmente partigiana e dal fatto che la principale fonte su questo evento epocale è rappresentato dal resoconto di un certo Capitano Siborne, un testimone diretto che però avrebbe distorto i fatti a suo uso e consumo. Tanto che una nuova corrente storiografica tedesca rovescia questa visione, parlando invece di una decisiva vittoria delle armate prussiane accorse in perfetto stile Settimo Cavalleggeri a trarre d’impaccio un Wellington ormai alla frutta, capace solo di resistere disperatamente sulle sue posizioni ma sul punto di cedere di schianto. Ora ci manca solo una nuova corrente della storiografia francese che, con una faccia tosta degna del nostro miglior politico, descriva Waterloo come un “sostanziale pareggio rispetto alle elezioni amministrative precedenti” e poi siamo a posto.

La Battaglia della Berezina (26-29 Novembre 1812), episodio cruciale della ritirata di Russia. Ma secondo una nuova corrente della storiografia, i francesi e i loro alleati non si stavano ritirando, stavano solo avanzando in un'altra direzione. Con grande determinazione.

Van Danzig si è dunque posto la domanda fatale: ma Siborne c’era o ci faceva? Nel senso, chi l’ha vinta questa benedetta battaglia? E visto che le fonti dirette scarseggiano o sono inaffidabili, come possiamo farci un’idea realistica dello scontro?
Ed ecco che, piano piano, rotolano davanti a noi due piccoli oggetti di forma cubica. Due dadi da wargame.
Sì perché, non avendo di meglio da fare, il simpatico Van Danzig ha preso tutto il seminterrato di casa sua e ha creato un plastico TITANICO della battaglia, posizionando un gozillione di miniature nelle posizioni storicamente accertate sul campo di battaglia. Insomma, un po’ come i plastici di Bruno Vespa, solo che questo era corredato di baionette, squadroni di corazzieri e batterie di artiglieria da campo.
Dopo aver fatto tutto ciò, ha cominciato a ragionare applicando alcune meccaniche che possiamo ritrovare in qualsiasi regolamento di wargame. Quali sono le principali questioni irrisolte della battaglia? Perché in alcuni momenti quelli che erano unanimemente considerati i due migliori strateghi dell’epoca (Liddell Hart sostiene - secondo me correttamente - che era dai tempi di Zama, con Scipione e Annibale, che non si vedeva una battaglia combattuta da due comandanti altrettanto capaci) commettono delle immani stupidaggini? E perché intere porzioni dei due schieramenti si comportano in maniera totalmente illogica, rischiando di compromettere più volte l’esito finale?
Per esempio, molto si è malignato - soprattutto da parte inglese - sull’improvviso cedimento delle truppe olandesi al centro della linea alleata, che avrebbe costretto Wellington a ordinare le dispendiose cariche di cavalleria e a sacrificare le truppe scozzesi del Generali Gordon e quelle inglesi del Generale Picton (facendoci rimettere la pelle anche ai due suddetti ufficiali). Scarsa qualità delle truppe, oltretutto poco affidabili visto che fino a pochi anni prima avevano addirittura combattuto sotto gli ordini dello stesso Napoleone? Calandosi sul suo mega-plastico, Van Danzig ha ricostruito la visuale delle truppe olandesi, scoprendo che si trovavano nel punto oggettivamente più esposto del campo e che erano praticamente adiacenti ai famosissimi Rifles britannici; i quali, avendo subito un numero enorme di perdite in un lasso molto concentrato di tempo, a un certo punto hanno pensato bene di ripiegare disordinatamente verso una posizione più protetta. E come sa ogni wargamer degno di questo nome, quando truppe di bassa qualità vengono attraversate o sono vicine ad unità di élite in rotta, devono fare un bel test del morale rischiando di darsela a gambe pure loro.
Altro problema: perché Napoleone, da genio indiscusso quale era, commette l’errore da principiante di intestardirsi a conquistare Hogoumont, trasformando una iniziale manovra diversiva in un ostinato assalto frontale che gli impegna migliaia di uomini contro una semplice guarnigione di 200 valorosi soldati inglesi? Se però vediamo tutto dall’alto, valutando le caratteristiche difficoltose del terreno della battaglia, le distanze e le possibili direttrici di marcia delle unità, ci accorgiamo improvvisamente che con quella mossa Napoleone riesce mirabilmente a “tappare” ben un terzo dell’esercito avversario impedendogli di passare il crinale e costringendolo a rimanere in attesa, pronto a reagire a uno sfondamento che non avvenne mai. Il tutto usando un quinto delle sue forze. Uno non diviene il più grande stratega della storia per caso...
Ancora, qual’è la logica delle insensate cariche di cavalleria di Ney contro i quadrati britannici seguite dall’ancor più assurdo assalto della Guardia Imperiale contro le posizioni ancora difese a sinistra e non contro il varco che si era creato al centro, dietro La Hay Sainte? E perché Napoleone quando si accorge di ciò che sta succedendo non solo non ferma il suo subordinato ma ordina altre cariche fino allo sfinimento? Perché visto dalla posizione di Ney, il primo ripiegamento inglese appare inevitabilmente come l’inizio di una rotta, perché il Maresciallo di Francia si era effettivamente portato dietro delle batterie di artiglieria a cavallo coi quali riuscì a spaccare dei quadrati britannici (i quali ottennero degli incredibili risultati sulle tabelle del morale per resistere in quelle condizioni con la maggior parte delle unità!) e ancora perché l’unico punto sufficientemente ampio per schierare tutta la Guardia era proprio quel punto del pianoro e nessun altro. Il che potrebbe spiegare anche il perché di una complessa manovra che diede agli inglesi un bersaglio ideale contro il quale puntare i loro moschetti.

Qualche anno prima di mandare De Laurentis in bancarotta, nel 1963, il diabolico Bondarchuk di cui sopra aveva girato il suo epico Guerra e Pace. Sette ore e mezza, trasposizione senza compromessi, un mattone terrificante... ma anche un film incredibilmente poetico, coinvolgente e più spettacolare di molti odierni colossal in CG. Certo, c'è il trascurabile dettaglio che per realizzarlo ha dovuto impegnare un intero Corpo dell'Armata Rossa...

In conclusione, Van Danzig utilizza due elementi fondamentali del gioco di simulazione. Da un lato, la possibilità di ricreare le condizioni soggettive dei comandanti e delle unità, le loro condiioni psicologiche, i campi di visibilità, le capacità operative sul campo; dall’altro, la possibilità di astrarre dei fattori tattici oggettivi con le meccaniche classiche del wargame e vederle in azione con una prospettiva analitica impareggiabile, calcolando le probabilità del verificarsi dei singoli eventi.
E con questi determina che Napoleone non era troppo “bolso” a causa dell’età, che i suoi “errori” erano tutti pienamente spiegabili e razionali, che Wellington combattè una battaglia contro un nemico formidabile e che Blucher arrivò proprio nel momento giusto. E allora, chi l’ha vinta questa battaglia?
Una conclusione definitiva non l’abbiamo, tanto che Van Danzig continua a moderare un lungo dibattito sull’argomento sul suo sito, proponendo comunque sulla rivista alcuni scenari che hanno lo scopo di mettere i “giocatori” (se ancora possiamo chiamarli così...) nei panni dei comandanti e di costringerli a fronteggiare i reali problemi posti dalle diverse situazioni simulate.
Insomma, può il gioco - e più specificamente il wargame - proporsi come strumento di indagine storica? Se il reenactment e la living history (avete presente quei magnifici pazzi che si vestono con le uniformi del periodo napoleonico o della Guerra civile americana e si prendono a fucilate a salve? Ecco, quelli!) hanno permesso di scoprire dettagli insoliti sulla vita di tutti i giorni dei soldati del passato, può la simulazione bellica svelarci il perché di determinati eventi?
Posso portare qui la mia esperienza personale, con i wargames che mi hanno aiutato a comprendere realmente alcuni princìpi tattico-strategici che avevo studiato sulla carta (conservazione delle forze, individuazione dello Schwerphunkt, rapporti tra tempo e spazio in un teatro operativo...). Tutte cose che, con un paio di dadi e qualche miniatura, ho appreso “sulla mia pelle” senza il distacco intellettuale di un libro di testo. Un po’ come quegli ufficiali appena usciti da Westpoint che dovettero comprendere a proprie spese (e soprattutto dei propri soldati) la differenza che passava tra il manuale dell’Accademia e le manovre sul campo.
E chissà che tenendo conto di ciò non si riesca anche a “sdoganare” un po’ questo nostro bistrattato hobby!

PS: Ah, ad avere il tempo e la possibilità... che meraviglia sarebbe applicare questa metodologia a battaglie come Solferino e il Volturno... Non appena divento milionario, ci faccio un pensierino...

4 commenti:

  1. Veramente interessante, non ti nego che mi stupisce un poco che non si sia mai fatta una simulazione (ad esempio) al computer.

    Non è che sai se ci sono foto di questo plastico?

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  2. In effetti simulazioni si sono fatte, ma il problema è che il computer funziona in maniera digitale, mentre un diorama funziona in maniera analogica. E', ad esempio, un problema noto nella cibernetica e nello studio dei modelli dell'intelligenza artificiale (avere un suocero ricercatore qualcosa te lo insegna! ^__-).
    Se devo ricreare una simulazione al computer devo ricreare da zero l'intero contesto, definendo qualsiasi elemento (cosa è un metro, cosa è un minuto di tempo, cosa è un reggimento, cosa è una manovra di avvicinamento...). E per farlo uso dei sottomodelli che dipendono dalla mia percezione di quegli elementi (la MIA idea di distanza, la MIA idea di tempo, la MIA idea di reggimento, la MIA idea di manovra...). Quidi dei modelli che partono già falsati in partenza.
    Un diorama funziona invece in maniera analogica. Certo, uso delle convenzioni, ma sono delle convenzioni che dipendono da precise funzioni matematiche (tot centimetri corrispondono a tot metri, tot miniature a tot uomini...) o comunque ad analogie con gli elementi reali.
    E' un po' come la differenza che c'è tra CD e vinile. Il CD è un sono senz'altro più pulito e preciso ma è anche un suono finto, ricreato da un sistema arbitrario; un vinile è la reale riproduzione di quel suono, con tutte le imperfezioni ambientali non "ripulite".
    Ecco perché è più facile ricreare determinati eventi a fini di ricerca usitlizzando modelli analogici (il diorama) e non digitali (la ricostruzione al computer).
    Quanto alle foto, naturalmente esistono. Ti faccio vedere il numero di WI la prossima volta che ci si incontra, perchè sono davvero impressionanti!

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  3. Davvero un articolo ben fatto, il tuo intendo!! ;)
    Per quanto riguarda l'articolo sulla rivista non ti saprei dire, ho avuto la sensazione che l'autore, più che cercare "risposte" sul tavolo, in realtà avesse già le (sue) risposte e le ha dimostrate sul "campo" con l'ausilio dell'hobby..
    Questo però non toglie che è una interessante modalità di "studio" del campo di battaglia, magari facesssero austerlitz o solferino!! :)

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  4. Ah, caro Gnotta, tu sei il responsabile di questo mio amore matto e disperatissimo per WI! Questo numero era tutto sulla Campagna di Russia del 1812... me lo sono divorato! ^__^
    Comunque, qualche sospetto sulla "partigianeria" dell'autore l'ho avuto anche io. Più che i risultati dell'indagine, però, mi interessava il metodo.

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