Da bravo appassionato di wargame tridimensionale, storico e non (con spada, moschetto, fucile mitragliatore o cannone laser non importa... basta che si menino le mani!), seguo con assiduità diverse riviste del settore e tra queste anche l'immancabile White Dwarf, il periodico della Games Workshop. Nonostante in alcuni numeri esageri un po' con la quantità di articoli di promozione del supplemento o delle miniature del mese, mi sento di consigliarla caldamente non solo per le belle illustrazioni e i suggerimenti modellistici, ma soprattutto per la rubrica "L'Alfiere" tenuta da Jervis Johnson e dedicata alle riflessioni sul mondo del gioco e anche sulla sua filosofia.
Nel numero di Luglio, Johnson tratta - forse in termini un po' troppo idilliaci - del "cameratismo" che si viene a formare tra i giocatori, specie quando questi si conoscono in giovane età e compiono assieme i primi passi in questo universo affascinante ma anche molto complesso. Dicevamo un'esposizione un po' idealizzata, perché se è vero che attorno al tavolo da gioco nascono grandi e lunghe amicizie, è anche vero che un gruppo di giocatori rimane comunque un agglomerato di persone con caratteri discordanti, abitudini incompatibili, modi di vedere il mondo e le relazioni interpersonali spesso incompatibili. Un'ottima ricetta, insomma, per la solita razione di litigate e discussioni che ognuno di noi ha avuto modo di provare nella vita.
In aggiunta a ciò non dobbiamo dimenticare una certa tendenza alla iper-specializzazione della quale soffrono un po' tutti coloro che si accostano ad un hobby così particolare come il nostro: le relazioni tra giocatori o tra membri di un club di gioco nascono proprio in base all'attività ludica e talvolta lì si esauriscono, non sempre traducendosi in rapporti di conoscenza fondati su affinità reciproche.
Il che non significa, però, che i giocatori siano gente ossessionata unicamente dall'ultimo boardgame arrivato in negozio o che il loro universo cominci e finisca nell'ambito di un tiro di dadi. Più semplicemente si tratta di persone che hanno in comune una passione poco comune, che richiede tempo e anche un po' di disponibilità economica, che tende a creare per sua stessa natura (abbiamo già discusso della "ritualità" del gioco) un mondo a parte.
Il "cameratismo ludico" è dunque non una conseguenza scontata dell'attività ludica, ma una concreta e auspicabile possibilità... soprattutto, un requisito non sufficiente ma necessario per provare appieno la gioia del gioco e il suo significato conviviale più vero: creare una comunanza di emozioni tra persone spesso molto diverse tra loro.
PS: I famosi dadi napoleonici sono arrivati, grazie al mio amore! Per i curiosi, la foto è sul mio profilo Facebook! ^___^
ma lo sai che è proprio vero? la rubrica di Jervis Johnson è interessantissima. Comunque se leggi qualche sua vecchia intervista capisci che lui è diventato cosi proprio grazie al cameratismo :P
RispondiEliminaBeh, c'è da dire che lui è semplicemente un grande autore di giochi... Al di là del suo input sul primo Warhammer 40.000, c'è da ricordare il suo lavoro con gli Specialist, e soprattutto Blood Bowl.
RispondiEliminaMa più che altro è indicativo di una nuova policy della Games Workshop, che punta più sul giocatore "casuale" (e quindi più sensibile all'aspetto conviviale del gioco) che al competitivo "torneista".